lunedì 11 novembre 2019

FUOCHI, UN POEMA EPICO DEI TEMPI NOSTRI


(Le Milieu, 2019)

A Chuck piaceva quando Edith era un po’ brilla. Sfogliò il libro,
 una vecchia monografia di Van Gogh.
“Annusa, Chuckie, su”.
Chuck affondò il naso tra le pagine. Sentì un odore dolce,
ma pungente. Gli ricordò il latte di mandorla.
“Buono, vero? E’ l’odore di colla” disse Edith.
R. Farina, Fuochi, 2019

Fuochi. Poi resta l’ardore. La vampa. Il rosso che penetra negli occhi. E attraversa le viscere più profonde, dove Fuochi è riconosciuto come materia affine. Dire di Fuochi significa fare appello ad un vocabolario che non esiste, perché si tratta di parlare di intimità. Ogni scintilla di Fuochi è un secreto di esistenza della quale ci si innamora; ogni ritratto che, tra queste pagine, prende vita è un monumento al miracolo umano. Non c’è nulla di carattere morale, non c’è nulla che abbia a che fare con qualsivoglia metro di giudizio. In questo libro ha preso dimora il profumo del guizzo umano, il fango creaturale che respira: la penna è una bacchetta magica e gioca con lo scintillare della storia, quella rimasta più in ombra, quella storia che è stata determinante e che si copre del velluto morbidissimo della dimenticanza.
Roberto Farina esercita sul lettore la fascinazione dei grandi classici ed è, nello stesso tempo, la novità, l’inaspettato, lo stupore.

Fuochi si apre con i brividi di Il Milite ignoto: l’orrore della guerra, che serpeggia nella quotidianità degli uomini semplici; la morte dei figli che si trasforma in una parata che sfila nella piazza. Restano le madri che non ritrovano i propri figli e che dinanzi alle statue celebrative, con voce spezzata dal dolore, esclamano: “Non somiglia per nulla al mio Bimbo”. Quindi la ballata del mostro: Kaspar Hauser, l’«enigma del proprio tempo», il punto di domanda della diversità che irrompe, si lascia mangiare dai tarli della curiosità e del timore, che strugge e lascia un che di amarissimo dentro: trattasi di un amaro che innamora.
E’ la volta di Robespierre: “E chi mai se l’aspettava?”, viene da dirsi dinanzi al genio del Terrore. Il suo “viso secco, nervoso eppure glaciale” si staglia dinanzi agli occhi del lettore con prepotenza e, alla fine del racconto, restano nelle intercapedini, tra capelli e neuroni, fiumi di sangue e mascelle distrutte.
Amatore Sciesa è un capolavoro: “Chi resta ha il dovere di agire, ma senza dimenticare l’universale forza dell’umano intelletto e della tenerezza”. Basterebbe questo passo per restarne incantati, come si resta incantati dinanzi ad un divano da riparare e alla morte dietro le spalle, all’odore di cuoio della sua giubba bagnata unito al profumo di lavanda di chi gli intima di parlare. E’ il racconto degli odori, dei suoni, di una bellezza che è magica.
Janusz Korczak, lo “scultore di anime”: pagine struggenti, emozionanti. Pavel resta nel cuore come un bambino che il lettore ha amato e perduto in prima persona; Henrik è un eroe. I capelli “vaporosi” di Stefa, soltanto immaginati, sono una fotografia meravigliosa, chiusa in un portagioie.
E’ la volta di Tommaso Campanella: “Mi basta leggere nel libro della natura, unica opera autografa di Dio”. Pagine ironiche, potentissime. La tenacia di Campanella viene fuori come un fiume dirompente: “Amate”. Il Campanella di Farina convince più di tutte le pagine di Reale. Viva la sincerità!
Egisto Rubini: un guru; a pagina 55 di Fuochi c’è un passo che rappacifica ogni donna col suo proprio essere: “Nel dire «rivoluzione» gli uomini sembrava intendessero «vendetta»m le donne «futuro»”. Dall’inizio alla fine del racconto, il lettore spera in un libro firmato Farina su Egisto Rubini. La fanciullezza di Egisto è un romanzo di formazione in piena regola, la sua ardimentosa giovinezza è un paradigma per le generazioni. In poche intense pagine, tutto l’onore dell’uomo, fino alla  morte gloriosa dell’eroe. Come Achille. La bella morte. L’amore di libertà.
Camille Claudel: Camille è meravigliosa; Camille è l’inganno, il tranello teso dal destino. E’ Medea che arriva a Corinto e beve tradimenti; è utero che ama, è generosa follia. Camille è arte e la sua vita sembra una stazione della Via Crucis. E’ “l’agnello condotto al macello”, ma è anche la giovinezza amorosissima.
Un uomo-Roberto Farina-che traccia così bene i rivoli di sangue dell’anima di una donna è una specie di prodigio. Qui ci si infervora di Camille e di Roberto. Irresistibilmente. Segue l’incontenibile Etty Hillesum: in lei trovano sintesi la tenerezza e lo stupore dell’autore. E del lettore. Etty è la grazia. Roberto l’ha resa un fiore. Immortale.
Nicola Sacco: freddo lungo la schiena. Il vento, fuori, tira forte, come nei giorni di tempesta invernale, ma lo stridore di denti non lo genera il vento.
Nicola Sacco è un eroe epico, con la morte addosso sin dalla passeggiata con Giuseppe alla grande quercia. Nonostante i “1700 volts”, la sua Idea penetra sotto la pelle ora come allora, come sarà domani. “Natura e buon senso” e poi umanità elevata all’ennesima potenza: nessun ritratto di Nicola Sacco, che tanto ho amato nella mia adolescenza disubbidiente, è efficace come questo di Farina. E Dante, con le sue piantine, resterà sempre il seme orgoglioso di Nicola e della sua Rosa: mi si perdonino le mie romanticherie di ragazzina!
Bartolomeo Vanzetti: indomito, coraggioso, leale. Amico e sodale. Compagno. Sognatore. Il sogno, appunto, e la trofallassi sono due espedienti letterari che rendono il Vanzetti di Farina indimenticabile.
Buster Keaton: finale da oscar. Dai sogni alla morte è un frullo d’ali. Nel mezzo c’è un asse d’equilibrio sul quale danzare. Nel volto un guizzo di malinconia e uno di incoscienza; un peso dentro gli occhi e il silenzio sulle labbra. Un funambolo buffo e tremante. Avvolto di delirio: forse con Houdini, quella sera, come per magia, se n’è partita l’infanzia di Buster e l’unica eredità che quella gli ha lasciato è il sogno di brillare. Per sempre.
Jean Vigo è come un sacerdote. Ha attraversato l’esistenza con gli stessi occhi di un indovino, che scrutano oltre le barricate della realtà. Oltre le intemperie del destino. Oltre.
Jean Vigo è il più poetico dei ritratti forse. L’incontro con Lydu è purissima lirica. Lo scontro con i collegiali è poesia epica. La sua vita è la comparsa che diventa chiave di volta dei suoi film.  
Leggere Fuochi è un continuo arricchirsi. Sembra il caveau di Paperon de’ Paperoni; è acqua di fonte. E’ cinema.
Kathe Kollwitz: “A me interessa la bellezza del proletariato. La larghezza delle loro vite”; “Invecchierò, perderò questo desiderio che sento: sensazioni, partecipazione e amore scompariranno. Tu invece, ora, qui, tu fecondi la mia femminilità, tu mi doni completezza. Tu mi rendi felice”: ecco qui Roberto Farina che scrive intingendo nel sangue mestruale la sua penna e rende Kathe un sigillo sull’anima. La sua voglia, la sua femminilità, la sua maternità rotonda e disperata. La sua appartenenza. L’arte come fuga dal male e forma di salvezza. Non ha salvato nessuno Kathe. Ma ha salvato la donna.
Vincent Van Gogh: racconto onirico. E’ un fiore nella cui coppa zampilla ogni sfumatura della vita, con tutte le sue stagioni.
Il Vincent fariniano è un vinto che si brilla con uno splendore carnivoro. E’ bellissimo. E’ carnale. E’ mistero doloroso e gaudioso insieme.
Milena Jesenska, nell’immaginario collettivo, è la Milena delle lettere di Kafka: questo racconto restituisce Milena a Milena e a tutti.
E’ appassionata, erotica, straordinaria, bellissima, cinematografica. Milena è come la sua pioggia. E’ come Praga, è come la morfina.
Milena è fierezza e non dolore. E’ un ricamo sulla pelle che supera anche la morte. Milena è l’intelligenza femminile. E’ il rifiuto dell’ingiustizia. E’ il discernimento. E’ l’amore e il coraggio ed è il coraggio dell’amore.
Il Guy de Maupassant firmato Roberto Farina è la resa dei conti. Rende giustizia a Guy e, quasi, induce a perdonare la follia che invade l’anima e la rende indifesa. “Il mare… è leale”: ciò che da dimensione al mondo è la poesia. Quella di Farina è prosa poetica, irrefrenabile, sacra: Fuochi è il tabernacolo nel quale è custodito il santissimo sacramento della Filantropia.
Giuseppe Grandi: “La rivolta è femmina”; “Nunca des imperadur”: il Nan riempie di sbigottimento. Il leone, l’aquila, ma soprattutto l’ostinazione di chi l’Arte la rispetta e ne fa religione.
Jack London: invincibile amore per questo ritratto, per la libertà di un uomo che ha riscattato la crudeltà delle madri con la generosità.
Fedor Dostoevsckij: “Che cosa vi proponete di fare con la vostra opera, giovanotto?”
“Mettere in romanzo l’anima, signora Panaev.”
“Ma l’anima non esiste.”
“In tal caso la inventerò io”.
Insopportabilmente meraviglioso.
“Questo è vivere: essere uomini tra gli uomini e restarlo sempre, in nessuna sventura avvilirsi o perdersi d’animo, ora lo so una volta per tutte”: riecheggia l’Homo sum di Terenzio ed è, da sempre, questo il sogno dei santi e dei poeti. Il “mio” Fedor è e resterà sempre quello di “Le notti bianche”, il “mio”indimenticabile compagno di ventura di “Memorie del sottosuolo”. In questo racconto c’è forse il passaggio più bello di Fuochi: l’indimenticabile ultimo capoverso di pagina 192.
Luis Bunuel,  Hey, non l’ammazzi più?”: battuta sublime che rende tutto il senso del racconto. L’amarezza, una decina di grammi di nostalgia, diversi etti di sogni realizzati, di visioni divenute concretezza e nessun cenno mai alla ragione. La ragione è fredda, Bunuel è una lama di ferro arroventata.
Harry Miles: “Non tutto è perduto”.
Dashiell Hammettimparò subito a considerare la solitudine come una manifestazione dell’età adulta”; Dash dai “capelli stupendi”, come li definisce Lillian Hellman: ecco, ancora una volta, il cuore di donna e le mani di uomo di Roberto Farina.
Sante Pollastro e la sensualità irripetibile della giovinezza. E’ come se l’autore, qui, non avesse mai varcato la soglia che porta oltre l’adolescenza dei sudori, delle voglie, delle corse e degli spudoratissimi pudori. L’irruenza dei sensi di un uomo leggendario che nessuno mai saprebbe immaginare. Dopo la sparatoria, la fuga, e, dopo essere diventato una “spina nel fianco del governo fascista”, l’amore di Mariette, la desiderata: “La guardava in un modo strano, c’era desiderio, ma anche rabbia”.
Il finale è amaro: la mitezza, dopo la rivoluzione. La rivoluzione era un sogno. Solitario.
Giovanni Pesce: “La nostra libertà consiste nel decidere che cosa fare di quello che la vita ha fatto di noi”. Il proprio credo, la via da vivere pienamente. Le scelte. Radicali. La resistenza come seconda pelle. Il sacrificio vissuto come un sacerdozio. La libertà-reale- come unica religione possibile: ecco Visone nel ritratto della sua giovinezza gloriosa.
Blaise Cendrars: la verità che trabocca, la cenere in agguato. “La solitudine che aveva il sapore di una liberazione”. L’arte. E ancora la vita.
Antonia Pozzi: un capolavoro. Una bufera di giovinezza, uno scirocco impetuoso in piena primavera; niente che sia stato scritto su Antonia Pozzi (e tanta roba ho letto!) è equiparabile a tale ritratto. Non c’è alcuna “invasione”: Roberto Farina ha restituito alla vita ciò che della vita si era incrinato. Antonia allora diventa un ricamo di “letizia”, un virgulto di “vitalità”, un inno di gioia. Un abbraccio. Lei era e resta un bacio d’adolescenza mai vinta, una martire dello stato di grazia della giovinezza e davanti a ciò “ogni amarezza svanì”.
Paul Gaugin è l’urgenza di somigliare a se stessi. Di sentirsi al proprio posto. Oltre. Al di là. Di ogni ostacolo della morale. “Difendete la vostra libertà” e, ancora, “L’amore è una complicazione del piacere. Guardatevi dall’amore”. Il maestro Gaugin ha fatto scintillare Haiti della sua luce: “Gaugin è morto. Ora non c’è più nessuno qui”.
La banda Bonnot: il dialogo tra Renè e Dondon è meraviglioso. Il “duello” finale degno di fragorosissimi applausi. Renè e Octave nella fossa comune restano immortali.
Siamo scherzi di luce”: l’intensità vitale di Medardo Rosso trascina. Sembra di averlo davanti ai propri occhi mentre scherza con la luce di Maurice o spadella cantando da Carrà. E’ una straordinaria icona della follia della natura. E’ un godurioso approccio all’essere. Non v’è nulla di austero nell’arte. L’arte è l’anarchia della gioia. Le pagine su Medardo Rosso sono una musica.
Claudia Ruggerini sapeva bene quanto le sarebbe costato scegliere la libertà. La storia è entrata violentissimamente in casa sua e lei ha scelto d’essere giusta.
Amilcare Cipriani è un poeta: la famiglia sacrificata alla rivoluzione, l’eroismo, la paura. l’innamoramento? “Figlio mio, che cosa ne hai fatto della tua gioventù?”.
Onorina Brambilla: la comunista, la partigiana. La ragazza del Pane Bianco, amata da Visone, senza tregua. Nell’immaginario della lettrice è il paradigma di un verbo irregolare: non si scorda mai.
Giancarlo Bugetti è l’uomo del fuoco, l’inossidabile Giancarlino. La tempra del toscanaccio, l’altruista, il generoso, il consapevole: “L’uomo non sa gestire il fuoco, non c’è niente da fare”.
Chuck Wepner: “Ho capito che resistere è un mestiere come un altro. Si impara”. Con Chuckie la lettrice ha intrapreso una storia d’amore. Perché Chuckie le ha spiegato perché leggere è una forma di resistenza. E perché Chuckie ha trovato in Edith la sua motivazione a resistere. Edith si porta sulla pelle la morte e da continuamente respiro alla vita.
Così le passioni del cielo precipitano sulla terra”: Michael Collins, l’uomo rimasto solo come Dio. Un uomo. Fuochi si chiude con una bonus track dedicata a una ninfa marina: Dita Parlo, la paladina del no; la creatura-bellissima-del coraggio.

Fuochi è tutto questo. Ma è soprattutto ciò che lascia al lettore: è un’eredità. E’ un libro di storia, è un monumento al futuro. E’ un’opera d’arte. Farina è scrittore raffinato, sopraffino. E’ una penna miracolosa e rituale. E’ la rugiada sulla lingua riarsa. E’ la carezza della seta in un campo minato. Fuochi ha un odore buono: sa di muschio e di verbena e se ne sente un che di agrumato gioire come nota di coda. Ha una consistenza assai particolare: è un oggetto sacro. E’ come uno scrigno. Ma porta con sé, oltre alla sorpresa, anche il calore di uno scialle da indossare dinanzi al mare. E’ un libro coraggioso: è il più coraggioso dei libri di Farina, perché è un “libro rosso”.
Fuochi è un alambicco: distilla libertà e te la fa bere fino a lasciare che ti bruci. Fuochi è un libro rischiosissimo: se si ha il coraggio di lasciarsene infiammare, poi è come se il proprio respiro diventasse incenso per libagioni divine.
Le illustrazioni sono strabilianti.
Fuochi mi ha insegnato la lentezza della lettura: i libri di Farina si fagocitano, non prevedono pause. Fuochi invece va lasciato decantare. Va gustato. Come si gusta novembre.
Francesca Aurelio