J. Collier, Dopo il delitto, 1882 |
Tutto gli avevo dato e l’ho ripreso.
Perché a volte le donne scelgono.
Non avevo scelto mai. Fui figlia
emarginata della madre che partorì
al Cigno l’Elena malfida. Che generò
a Zeus i gemelli. Ho attraversato
il bosco dei pioppi e la triste prateria
degli asfodeli; sono giunta alla sinistra
del palazzo di Ade: Persefone si agita
nell’Erebo senza uscite e alla Fonte
dell’Oblio mi accingo a dissetarmi.
All’ombra del bianco cipresso
attendo le ultime risposte: arriveranno
quando io avrò dimenticato le domande.
Il mio petto dilaniato dalla giustizia
del figlio smetterà di sanguinare:
io no. Sanguinerò sempre
nella dimora di ciò che non è più.
Agamennone, lo sposo che mi uccise
il figlio di Pelope nel grembo,
immolò anche Ifigenia per la sua gloria,
per il rogo di Troia innocente. Lo attesi.
Come si aspettano i vincitori.
Come Penelope sospirò Odisseo
che tardava. Invocai i fuochi sulle alture:
annuncio del suo ingresso in Micene.
Approntai le stanze. La sala del bagno
fu l’altare innalzato alla vendetta
ristoratrice: non era vestito né nudo,
non era sazio né a digiuno, non era…
nella Casa né fuori. Non era in acqua
e neanche sulla terraferma. Egisto,
il misero compagno delle notti amare,
sferzò i colpi mortali: io impugnai
l’ascia bipenne per esibire la testa
del tiranno, ma non come la Baccante
il figlio. Consapevole di andare
a morte certa: Giustizia, la dea
senza madre e senza marito,
la dea del maschio
offenda pure la sua stessa natura!
Stragi e infamie, violento mostro fui:
in corpo di donna regale. Figlia
di fortuna: di sorte efferata, sanguinaria.
Ho goduto del sangue nero dell’uomo
che un tempo amai; il suo talamo
ho fatto caldo e prospero di figli:
sperma che non ha mai saputo
il bilico uteroso di una donna
che era madre. Privata dei suoi parti.
Privata della mia dignità:
Cassandra gridava la grande sciagura,
io fui soltanto Mano. L’assassino
della più volte violata
figlia di Priamo, trascinata in terra
greca-quale civiltà!- fu lui,
fu Agamennone. Sicario oscuro
di vergini, di figlie, di venti, di tempeste.
Sicario delle mie malevoglie:
virgulto prepotente di una malarazza.
Berrò. La sorgente sgorga, come sangue
santo: le mie mani sono coppa
per l’unguento delle mie storture.
Clitemnestra, la cagna, va dove nulla
più è pena. Tutto è Vuoto. Il delirio tace.
Le mani sono monde. Immonda
resterà la memoria della colei
che fu femmina degenere, non avvezza
alla paura, avida di sangue
e morbo per le sue creature morte.
Il clitoride non fu vessillo mai.
…Era tormento.
Ho scelto.
Clitennestra: vittima e vendicatrice..
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