lunedì 3 agosto 2020

G. Norcia, A proposito di Elena, Vanda edizioni: una "fiaccola" che splende nelle notti d'estate.

Giuseppina Norcia è una garanzia: la sua è una scrittura che viene da “lontano”, da una lontananza fatta di sapienza, saggezza, amore ed elezione. Giuseppina Norcia è una creatura armoniosa, tra le cui mani scivolano sete d’Oriente e lini d’Occidente, nella cui voce c’è la grazia di una poetessa e la potenza oracolare di una profetessa sicana.


Dopo il suo Achille, “compagno di Thanathos”, non mi sarei mai aspettata Elena e, invece, ecco che, sorprendentemente, arriva colei della quale nessuno ha saputo dire “com’era fatta”: del resto, “Nessuno lo sa, perché nessuno l’ha mai guardata: bisognava adorarla come una dea o possederla come una femmina” e gli uomini la amavano “fino ad esserne terrorizzati”.

Con un incipit di tal genere, non si può che immergersi “dentro” l’incantesimo di Elena, del suo odore, che “si respira” anche se lei non c’è.

Di Elena non si sa niente. Crediamo di conoscerla, non l’abbiamo mai guardata”: è questo il paradosso, Elena, infatti, è la bellezza e la sciagura, è doppia, è carnefice e vittima, è fiamma d’amore, oggetto d’odio.

Elena è una maledizione, per sé e per gli altri: “tutti coloro che hanno desiderato Elena, intorno a lei hanno costruito un’ossessione consumata nella violenza, individuale e collettiva. Nella rovina”. Elena è Lolita, ma è anche vittima sacrificata; Elena è un corpo da espugnare come fosse una citta e, allora, sostiene l’autrice, “il sesso diviene un’esposizione del potere e della guerra”.

E’ maestra di seduzione Elena, come Aspasia, “con lo sguardo da cagna”, ma è figlia di Zeus, forse; oggetto di una contesa divina, è la vittoria amara della bellezza, una bellezza “mai detta”, che solo apparentemente vince, perché “la bellezza è divenuta una prigione” e “mantiene sempre un carico di dannazione”.

Elena è “fiaccola”, è la “splendente”, è la “luminosa”: “muove sulla terra i suoi passi, ma appartiene a un altro mondo” e, come “ogni angelo è tremendo”: “la chiamavano Elena, come una malattia, un cataclisma, come una sventura”.

Straordinarie le pagine in cui Elena “diventa” Alcibiade e Alcibiade “diventa” Elena: storia e mito si intrecciano e divengono vita “senza tempo”, in un gioco di “maschere” volto solo, come direbbe il conterraneo di Giuseppina Norcia, Luigi Pirandello, alla nudità.

La donna più bella e più pericolosa del mito e l’uomo più bello e pericoloso della storia si scambiano le maschere, nel segno del loro carisma, della conquista, della perdizione”: passi di una struggente meraviglia, che fanno a gara con le pagine dedicate all’Elena di Stesicoro, alle parole di Simone Weil.

La domanda resta però aperta: “Chi è Elena oggi?”. Non pare esserci altra risposta che quella di Giuseppina Norcia: “C’è una bellezza che salva e un’altra che irretisce. C’è una bellezza che libera e un’altra che intrappola dentro desideri irrefrenabili. E’ doppia, proprio come l’essere umano”.

E, quindi, Elena di Sparta, Elena di Troia, Elena premio di Afrodite, Elena figlia del cigno, altro non è che uno scintillante giorno di sole davanti al mare in tempesta, con la canicola, le cicale e i pini che trasudano linfa odorosa. Tale è anche la scrittura di Giuseppina Norcia: splendente. Seduce e porta nell’altrove di una donna piena di primavere plurali, lungo sentieri magnifici di coscienza di sé e dell’altro, nel comune destino di figli di Grecia venuti al mondo nella terra promessa: questa Magna Grecia sublime e dimenticata, folle e rovente come vampa d’agosto, che accoglie e non distrugge, che trema e spera, che ricorda e piange, che brilla.

                                                                                                          Francesca Aurelio


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