domenica 5 agosto 2018

LETTURE DI LUGLIO


G. R. Hocke, Magna Grecia. Escursioni letterarie attraverso il Meridione greco d’Italia.
(fbe edizioni; ed.originale 1960; ed.italiana 2010)


Un romanzo, che è anche un trattatello di storia e un diario di viaggio; la prosa è scorrevole e lirica al tempo stesso: ad ogni periodo, ad ogni capoverso, si sente la Magna Grecia che abbiamo nel sangue ribollire, volteggiare, danzare e gioire dentro, per chiudersi poi in una nostalgia di bellezza, in quel crepuscolo di magnificenza, destinato a divenire sempre di più, ahinoi, una notte cupa.
Il protagonista è Manfred, l’alter ego dell’autore, antinazista della primissima ora, che attraversa Puglia, Lucania e Calabria in un tripudio di stupore e in un carnevale di incontri che restano scolpiti nella memoria, come se il lettore stesso fosse lì ad ascoltare il Conte C., mentre parla di Sybaris, di quella “lussureggiante vegetazione”, in cui “il paesaggio richiamava alla memoria più l’immagine di una foresta che quella di campi coltivati”; o ancora Pietro, che accompagna Manfred a Crotone di “avorio e azzurro”, ove i due mangiano “pane e nespole”.
Il brano più struggente? quello affidato alle parole del Conte C., che prima del commiato, stappa, nella sua villa, che domina dall’alto la Sybaris ritrovata, una “bottiglia di vino polverosa e priva di etichetta” e dice: “Bisogna berlo accompagnandolo con torta di pistacchi e insalata fresca, condita con rosmarino. Questo vino, che vi raccomando di cuore, si chiama Greco di Gerace: il principe di tutti i vini di Calabria […]. Il Greco è un fuoco silente, che mette allegria e stimola lo spirito. Ha la magia di predisporti l’anima alla musica, spingendoti alla danza. E’ come se nella sua essenza fossero diluite le melodie di Orfeo e ne prendessero il colore. Quando la fonte dispensa frescura all’ombra della nostra pergola, esso brilla come se fosse dotato di vita propria”.
L’ultima escursione, prima del ritorno di Manfred in Germania, è a Paestum: “Sul tempio di Poseidone l’oro si fondeva con il rosso vivo dei germogli di melograno in una tonalità solo leggermente più scura del sole quando, in una giornata di pioggia, esso bacia il mare poco prima di accomiatarsi”.
Una lettura bellissima. Traduzione dal tedesco meravigliosa. C'è Pitagora, Cristo, le madonne, le vergini e le giovani sensuali e peccatrici di Calabria.
C’è una pecca: refusi a dire basta, che urtano il sistema nervoso e scatenano l’ira funesta (nella mia copia ho provveduto alla correzione: la lascio in prestito volentieri, qualora qualcuno volesse leggerlo). Il prezzo di copertina è 16 euro e li vale tutti, centesimo per centesimo: lo dico perchè qualcuno proprio stamattina mi ha fatto notare che i libri costano un patrimonio, ma appena si capisce che sono un bisogno primario, be', basta comprare una maglietta in meno, in fondo.

Colm Tóibín, La casa dei nomi
(Einaudi, 2018)



“Ho dimestichezza con l’odore della morte. L’odore nauseabondo e zuccherino che si diffondeva nel vento raggiungendo le stanze di questo palazzo”: è Clitemnestra che parla; la Clitemnestra che nega l’esistenza degli dei e che ha a che fare solo con la ferocia e con i suoi innumerevoli volti: lei li conosce tutti, ad uno ad uno. La casa dei nomi è una rilettura dell’Orestea, con varianti moderne e violente. Tóibín fa di ogni personaggio un monumento di scelleratezza e dolore: Clitemnestra parla in prima persona ed è ferita, la sua sorte è un cane che latra nei silenzi delle notti a palazzo; ha sentito morire Ifigenia sull'ara di Artemide, rinchiusa in una tomba da viva, dove gli achei la hanno murata, con una benda sulla bocca, per non farle pronunciare maledizioni. Oreste è stato rapito: Egisto ha voluto così, con la complicità della madre, che non smette mai di essere madre: ma di figli perduti. Perché Ifigenia è simbolo incontrovertibile dell’obbligo della regalità; Oreste è la vera vittima sacrificale; Elettra è la macchinatrice, il tabernacolo dell’odio.
Ifigenia resterà vergine per sempre; Oreste è la solitudine; Elettra è implacabile. Di Clitemnestra cosa rimane dunque? Un’ombra che ricorda l’amore, ma non i nomi di chi ha amato.
Nella Casa dei nomi, infine, qualcuno sta nascendo; ma non è ancora nato. E resta sospeso tra utero e dolore. Per sempre. Si dice che sia femmina, ma non se ne ha la certezza.
La prosa di Tóibín si conferma ipnotica, serrata. Non ti lascia in pace, mai. E poi ti lascia intravedere un bagliore, che resta domanda.
Assolve, in qualche modo, Clitemnestra. E il lettore, con lui, stavolta non perdona Elettra; proprio non la perdona.

Sylvian Tesson, Un’estate con Omero.
(Rizzoli, 2018)



“Mi sono immerso nell’Iliade e nell’Odissea come nelle acque impetuose di una cascata. Ho respirato per mesi al ritmo dei versi omerici, nelle mie orecchie ne risuonava la musica, battaglie e navi in procinto di levare le ancore affollavano i miei sogni”: come affollano i sogni di chiunque ami il greco antico, puro e sublime, di Omero. Tesson ha vissuto in una piccionaia a Tinos, nell’Egeo e lì ha riletto per noi Omero: un saggio scorrevole ed elegante; a volte di una semplicità disarmante, quasi incredibile.
Si torna fanciulli a leggere questo Tesson: per un paio di questi miei giorni d’estate sono tornata bambina, con mio padre seduto nella piazzola davanti casa a leggere Bufalino e io, vestita di giallo, con la mia Odissea illustrata tra le mani.


Giuseppe Catozzella, E tu splendi.
(Feltrinelli, 2018)



Il Sud, la genuinità; la perdita; l’amaro sentirsi depositari di un’ingiustizia atavica; la rabbia nei confronti di Dio; la fanciullezza; Pasolini, Carlo Levi, un’eco di comune appartenenza e un piccolo eroe, Pietro.
La cattiveria, della sorte e degli uomini; l’istinto di vita; la violenza, l’amicizia, il perdono, l’emigrazione, gli immigrati.
E’ un concentrato di Sud questo romanzo di un giovanissimo Catozzella: una favola, di quelle che non hanno lieto fine, di quelle che però fanno vedere che tutto ciò di cui abbiamo bisogno è di essere umani. Le differenze si annullano e la diversità splende-sì, splende- solo quando l’appartenenza alla comune radice di creature umane ci tiene stretti, come grani di un rosario, nelle mani di una nonna.
I personaggi di Catozzella innamorano: Pietro e Nina, Nononna e Nononno; Zi Salvatò; Josh, Refè.
Da leggere. Per riconoscersi. Per ritrovarsi. Per guardare i nostri calanchi interiori e meravigliarsi.
Due lacrime mi ha rubato questo romanzo, che sono perle:
“Così, io in quinta elementare e Nina in terza, ci siamo ritrovati orfani, che vuol dire che tua mamma invece di abitare fuori inizia ad abitarti dentro”; “La paura è una bugia”.
Per lettori grandi e piccoli.

***

Auguro a me stessa di innamorare tutti i miei alunni della lettura: quest’anno che viene, magari, porteremo con noi uno scampolo d’estate, leggendo tutti assieme di Pietro, Nina, Donatino e di Arigliana, che poi è Albidona, Trebisacce, ma è pure Milanox, come dicono i bambini del romanzo; è pane e pomodoro, vino buono; noci e zafferano; amore, indifferenza, luna e fuochi.