sabato 10 agosto 2019

Altre letture estive


B. Schlink, Il lettore –Neri Pozza

Storia toccante. Alcune pagine sfiorano la poesia, tanto che ci si sente limitati nel dover leggere il romanzo in traduzione e nasce il desiderio di conoscere il tedesco. Nasce come una storia di amore proibito e inenarrabile tra il quindicenne Michael Berg e la più che trentenne Hanna Schmitz: una passione travolgente che è anche un’educazione sentimentale per entrambi. Michael fa i conti con la sua adolescenza, Hanna con le sue paure e un suo terribile segreto. I momenti più struggenti sono quelli in cui, dopo l’amore, Michael legge per Hanna. L’idillio si incrina però. Hanna sparisce. Michael continua i suoi studi: per un seminario della facoltà di legge dovrà seguire un processo a cinque ufficiali donne delle SS responsabili di una strage avvenuta subito dopo la fuga da Auschwitz, in una chiesa. Il finale è una strozzatura: l’imperdonabile Hanna è la prosopopea della disperazione, eppure Michael, in qualche modo, continuerà a leggere per lei sempre. Hanna, infine, imparerà a…
Da leggere e meditare. Lascia “Il lettore” innamorato e stordito.
C’è un errore che lascia l’amaro in bocca: a pagina 79 è tradotto “Da quanDo tempo abitava nell’appartamento”. Dio salvi la grammatica. 



R. Bespaloff, Sull’Iliade – Adelphi
Lettura piacevolissima, che si apre con dolorose pagine di raffronto tra Achille, “l’eroe della vendetta”, secondo la Bespaloff, ed Ettore, “l’eroe della resistenza”. “I destini di Achille e di Ettore sono accomunati nella lotta, nella morte e nell’immortalità”, sostiene la Bespaloff, per la quale “teatro dell’ineluttabile è simultaneamente il cuore dell’uomo e il Cosmo”.
Delicatissime le pagine su Teti e Achille, entrambi, in diverso modo, figli del mare. Achille allora è “come una pianta sul declivio di un vigneto”, che Teti non ha potuto rendere immortale. E allora egli è l’eroe più umano di tutti, perché, nel momento in cui Achille viene al mondo, la morte è dentro di lui, è la sua più terribile e più fedele compagna di viaggio e con lui, “umano, troppo umano”, non lo dimentichiamo mai, neanche per un attimo. Ha un solo folle amore, Achille, sia pur tra tanti amori: è Patroclo, colui che moltiplica all’infinito l’amore quanto la morte.
Le pagine della Bespaloff fanno di Achille soprattutto l’eroe dell’impeto: “Achille è il gioco della guerra, la gioia di saccheggiare città troppo ricche, la voluttà dell’ira […], il clamore dei trionfi inutili, delle imprese folli. Senza Achille, l’umanità vivrebbe in pace”. Non sono d’accordo. Achille è l’eroe umano, preda dell’ira, preda dell’amore, trionfo della morte. Ad Achille io perdono tutto, chè Achille ha pianto poesia e mi ha insegnato a vincere la disperazione con il canto.
Dinanzi all’immagine di Achille che si consola suonando la cetra gli si perdona tutta l’ira, perché Agamennone il capriccioso ha mandato a morire gli Achei e tra loro l’irresistibile Patroclo.
Quindi la riflessione su Elena, sugli dei, su Troia, sulla guerra: “La guerra è inseparabile dalla giovinezza dei corpi che seduce per poi annientare”.
“Il pasto di Priamo e Achille” è un capitolo strepitoso: Achille è l’Uccisore “carico di infanzia e di morte”, ma non dimentica mai, neanche per un attimo, Patroclo e, quando restituisce il corpo di Ettore e prende il riscatto, che Priamo gli offre, promette a Patroclo la sua parte, scusandosi per l’ira placata.
L’ultima parte è dedicato al rapporto tra la Bibbia e l’Iliade, accomunate da “un certo modo di dire la verità, di proclamare la giustizia, di cercare Dio, di onorare l’uomo”. Lettura meritevole di attenzione e partecipazione. Scrittura magnifica.


M. Atwood, Il canto di Penelope – Ponte alle Grazie
Scorrevole e semplice. Prosa limpida e inappuntabile. Penelope resta Penelope, ma dei suoi sentimenti, a volte, ci si dimentica: Il canto di Penelope è un memento di ciò che lei ha sentito e vissuto, patito e tessuto, mai all’ombra dell’eroe, ma con lui e soprattutto senza di lui, autonomamente.
Penelope è figlia di Icario, re di Sparta, fratello di Tindaro, che era-neanche a dirlo- il marito di Leda, dal cui grembo nacquero i Dioscuri, Clitemnestra ed Elena.
Penelope ed Elena, le cugine spartane, colei che aspetta e colei che fugge. Penelope, che tutti, da bambina, chiamavano “Anatroccola”, ed Elena, la luce della bellezza divina, in realtà, non tindaride, ma figlia di Zeus, che, in forma di cigno, aveva fecondato Leda.
Amore e delusione si impastano nella natura del rapporto di Penelope col figlio Telemaco; amore e attesa in quello con Odisseo.
Inadeguatezza nei confronti della nutrice, la vecchia Euriclea, che aveva allattato ai suoi capezzoli Odisseo; opposizione da parte della suocera Anticlea: perché Penelope arriva ad Itaca bambina e da bambina sempre sarà trattata.
Gli intermezzi corali-il coro è formato dalle ancelle di Penelope- sono gustosissimi, ironici, a volte esilaranti:
Ma al mattino ci svegliamo,
pronte ognuna al suo dovere;
e le gonne solleviamo
per quei cazzi di imbroglioni.
Penelope ora è nell’Ade e può ripercorrere la sua vita senza remore né rimorsi: è umana e, come l’acqua, ovunque penetra.



      A.    Camilleri, Ora dimmi di te. Lettera a Matilda –Bompiani.
Si tratta di una lettera che il bisnonno Andrea scrive a Matilda, che non ha compiuto ancora quattro anni. Andrea scrive “a pochi giorni dal (suo) novantaduesimo compleanno” e spera che Matilda possa leggere questa magnifica storia della sua famiglia, dell’Italia, del sogno europeo “nel pieno della (sua) giovinezza”.
Camilleri ripercorre la sua vita, racconta i suoi sogni, la sua ostinazione, il suo adolescente fervore politico, i suoi insuccessi, ciò che è stato mera fortuna, ciò che è stato conquistato con sacrificio. Ha parole d’amore pieno, forte, maturo, totale per Rosetta e per la scrittura, che era gioco e sfogo, divertissement e dono e poi è diventata più di cento romanzi.
Magnifico l’addio, lento, dolcissimo, al padre.
Non riesco a dire di più: il rischio è di sciuparne la bellezza.
Va letto. E custodito dentro.
Magnifico. Sublime. Semplice. Complesso.
La lezione di un Maestro.
Il testamento di un Padre.
La fierezza di un Comunista.
Per me, che sono solo un’insegnante, sarà, questa lettera, anche uno strumento didattico importantissimo per la visione del Novecento che in essa abita.



R. Vecchioni, La vita che si ama. Storie di felicità – Einaudi.
Il Professore non si smentisce mai. Ogni sua parola è sensualità, come quando l’onda lascia la sua saliva sopra i fogli e poi, dopo diverse stagioni, ne senti il profumo e ne cogli i segni lasciati lì… dal mare.
“La vita che si ama” è un romanzo, è un’autobiografia, è poesia, è una serie di ritratti indimenticabili.
“La vita che si ama” è la conquista del tempo che non esiste, è la canzone del kairòs. E’ l’amore e il suo senso: “una primavera di passi e sorrisi ignara di trascinare i sensi e il cuore”. E’ il rifugio, il ritorno. La partenza. E’ la scuola.
E’ la Casa. La goffaggine. E’ i figli. Gli incontri. E’ la vita di un uomo e delle sue letterature.
E’ il gusto di un infinito interiore. Della storia lontana.
Dei padri che giocano d’azzardo con il cuore e delle madri che non se ne vanno mai.
Vecchioni è un affabulatore impareggiabile. Un grande attore. Un profondo enigmatico sciamano. Un ruffiano. E’ quello che mi fa pensare “Vorrei parlare come lui” e poi mi accorgo che la mia Saffo è la sua stessa bellissima sacerdotessa.
E questo la dice tutta. Proprio tutta.
Consiglio questo libro a chi sa resistere. A chi poeticamente vive…



                                                                                                                              Francesca Aurelio