La musica di Nicola Gelo è un raggio di luce in
novembre: penetra dalle persiane chiuse di un io sdrucito e scalda mani fredde.
E dimenticanze. E’ un trionfo di pace che viene a rannicchiarsi nel cuore, un
tepore inaspettato, una levità di fanciullesca natura. E’ una vaghezza che
avvolge, come il velo di una vergine che danza su pozzanghere profonde con le
sue scarpine di raso.
E, nella Vallée du silence di Nicola Gelo, le voci delle stagioni, degli astri,
dei vivi, dei morti, degli sciamani e degli dei si intersecano in un turbine
dorato che innalza e redime, che vince il dolore e fa del fango creaturale
materia di un’armonia in cui l’universo tutto si compiace. La musica di Nicola
è intimità, è sympatheia, è “secreto” interiore, è liquido amniotico ove la salvezza
è possibile.
La musica di Nicola è esercizio di gentilezza, è quintessenza di generosità. Pioggia
che purifica e ingravida deserti aridi. E’ carezza. E’docilità. E’ la
ninnananna a Persefone che scopre l’amore. Rasserena il turbamento dell’adolescenza
folle sui cui petali sono appena passati polpastrelli sinuosi.
Le corde dei suoi pianoforti sono percosse dai martelletti della sua dismisura
di poeta: è la giostra del divenire che diventa sintesi di un ordine supremo,
archetipico. Feroce, dolcissimo. Abissale, come il volto supremo di Ade quando
il sole rinnova le ore. E il mare diventa “del colore del vino”.