lunedì 11 novembre 2019

FUOCHI, UN POEMA EPICO DEI TEMPI NOSTRI


(Le Milieu, 2019)

A Chuck piaceva quando Edith era un po’ brilla. Sfogliò il libro,
 una vecchia monografia di Van Gogh.
“Annusa, Chuckie, su”.
Chuck affondò il naso tra le pagine. Sentì un odore dolce,
ma pungente. Gli ricordò il latte di mandorla.
“Buono, vero? E’ l’odore di colla” disse Edith.
R. Farina, Fuochi, 2019

Fuochi. Poi resta l’ardore. La vampa. Il rosso che penetra negli occhi. E attraversa le viscere più profonde, dove Fuochi è riconosciuto come materia affine. Dire di Fuochi significa fare appello ad un vocabolario che non esiste, perché si tratta di parlare di intimità. Ogni scintilla di Fuochi è un secreto di esistenza della quale ci si innamora; ogni ritratto che, tra queste pagine, prende vita è un monumento al miracolo umano. Non c’è nulla di carattere morale, non c’è nulla che abbia a che fare con qualsivoglia metro di giudizio. In questo libro ha preso dimora il profumo del guizzo umano, il fango creaturale che respira: la penna è una bacchetta magica e gioca con lo scintillare della storia, quella rimasta più in ombra, quella storia che è stata determinante e che si copre del velluto morbidissimo della dimenticanza.
Roberto Farina esercita sul lettore la fascinazione dei grandi classici ed è, nello stesso tempo, la novità, l’inaspettato, lo stupore.

Fuochi si apre con i brividi di Il Milite ignoto: l’orrore della guerra, che serpeggia nella quotidianità degli uomini semplici; la morte dei figli che si trasforma in una parata che sfila nella piazza. Restano le madri che non ritrovano i propri figli e che dinanzi alle statue celebrative, con voce spezzata dal dolore, esclamano: “Non somiglia per nulla al mio Bimbo”. Quindi la ballata del mostro: Kaspar Hauser, l’«enigma del proprio tempo», il punto di domanda della diversità che irrompe, si lascia mangiare dai tarli della curiosità e del timore, che strugge e lascia un che di amarissimo dentro: trattasi di un amaro che innamora.
E’ la volta di Robespierre: “E chi mai se l’aspettava?”, viene da dirsi dinanzi al genio del Terrore. Il suo “viso secco, nervoso eppure glaciale” si staglia dinanzi agli occhi del lettore con prepotenza e, alla fine del racconto, restano nelle intercapedini, tra capelli e neuroni, fiumi di sangue e mascelle distrutte.
Amatore Sciesa è un capolavoro: “Chi resta ha il dovere di agire, ma senza dimenticare l’universale forza dell’umano intelletto e della tenerezza”. Basterebbe questo passo per restarne incantati, come si resta incantati dinanzi ad un divano da riparare e alla morte dietro le spalle, all’odore di cuoio della sua giubba bagnata unito al profumo di lavanda di chi gli intima di parlare. E’ il racconto degli odori, dei suoni, di una bellezza che è magica.
Janusz Korczak, lo “scultore di anime”: pagine struggenti, emozionanti. Pavel resta nel cuore come un bambino che il lettore ha amato e perduto in prima persona; Henrik è un eroe. I capelli “vaporosi” di Stefa, soltanto immaginati, sono una fotografia meravigliosa, chiusa in un portagioie.
E’ la volta di Tommaso Campanella: “Mi basta leggere nel libro della natura, unica opera autografa di Dio”. Pagine ironiche, potentissime. La tenacia di Campanella viene fuori come un fiume dirompente: “Amate”. Il Campanella di Farina convince più di tutte le pagine di Reale. Viva la sincerità!
Egisto Rubini: un guru; a pagina 55 di Fuochi c’è un passo che rappacifica ogni donna col suo proprio essere: “Nel dire «rivoluzione» gli uomini sembrava intendessero «vendetta»m le donne «futuro»”. Dall’inizio alla fine del racconto, il lettore spera in un libro firmato Farina su Egisto Rubini. La fanciullezza di Egisto è un romanzo di formazione in piena regola, la sua ardimentosa giovinezza è un paradigma per le generazioni. In poche intense pagine, tutto l’onore dell’uomo, fino alla  morte gloriosa dell’eroe. Come Achille. La bella morte. L’amore di libertà.
Camille Claudel: Camille è meravigliosa; Camille è l’inganno, il tranello teso dal destino. E’ Medea che arriva a Corinto e beve tradimenti; è utero che ama, è generosa follia. Camille è arte e la sua vita sembra una stazione della Via Crucis. E’ “l’agnello condotto al macello”, ma è anche la giovinezza amorosissima.
Un uomo-Roberto Farina-che traccia così bene i rivoli di sangue dell’anima di una donna è una specie di prodigio. Qui ci si infervora di Camille e di Roberto. Irresistibilmente. Segue l’incontenibile Etty Hillesum: in lei trovano sintesi la tenerezza e lo stupore dell’autore. E del lettore. Etty è la grazia. Roberto l’ha resa un fiore. Immortale.
Nicola Sacco: freddo lungo la schiena. Il vento, fuori, tira forte, come nei giorni di tempesta invernale, ma lo stridore di denti non lo genera il vento.
Nicola Sacco è un eroe epico, con la morte addosso sin dalla passeggiata con Giuseppe alla grande quercia. Nonostante i “1700 volts”, la sua Idea penetra sotto la pelle ora come allora, come sarà domani. “Natura e buon senso” e poi umanità elevata all’ennesima potenza: nessun ritratto di Nicola Sacco, che tanto ho amato nella mia adolescenza disubbidiente, è efficace come questo di Farina. E Dante, con le sue piantine, resterà sempre il seme orgoglioso di Nicola e della sua Rosa: mi si perdonino le mie romanticherie di ragazzina!
Bartolomeo Vanzetti: indomito, coraggioso, leale. Amico e sodale. Compagno. Sognatore. Il sogno, appunto, e la trofallassi sono due espedienti letterari che rendono il Vanzetti di Farina indimenticabile.
Buster Keaton: finale da oscar. Dai sogni alla morte è un frullo d’ali. Nel mezzo c’è un asse d’equilibrio sul quale danzare. Nel volto un guizzo di malinconia e uno di incoscienza; un peso dentro gli occhi e il silenzio sulle labbra. Un funambolo buffo e tremante. Avvolto di delirio: forse con Houdini, quella sera, come per magia, se n’è partita l’infanzia di Buster e l’unica eredità che quella gli ha lasciato è il sogno di brillare. Per sempre.
Jean Vigo è come un sacerdote. Ha attraversato l’esistenza con gli stessi occhi di un indovino, che scrutano oltre le barricate della realtà. Oltre le intemperie del destino. Oltre.
Jean Vigo è il più poetico dei ritratti forse. L’incontro con Lydu è purissima lirica. Lo scontro con i collegiali è poesia epica. La sua vita è la comparsa che diventa chiave di volta dei suoi film.  
Leggere Fuochi è un continuo arricchirsi. Sembra il caveau di Paperon de’ Paperoni; è acqua di fonte. E’ cinema.
Kathe Kollwitz: “A me interessa la bellezza del proletariato. La larghezza delle loro vite”; “Invecchierò, perderò questo desiderio che sento: sensazioni, partecipazione e amore scompariranno. Tu invece, ora, qui, tu fecondi la mia femminilità, tu mi doni completezza. Tu mi rendi felice”: ecco qui Roberto Farina che scrive intingendo nel sangue mestruale la sua penna e rende Kathe un sigillo sull’anima. La sua voglia, la sua femminilità, la sua maternità rotonda e disperata. La sua appartenenza. L’arte come fuga dal male e forma di salvezza. Non ha salvato nessuno Kathe. Ma ha salvato la donna.
Vincent Van Gogh: racconto onirico. E’ un fiore nella cui coppa zampilla ogni sfumatura della vita, con tutte le sue stagioni.
Il Vincent fariniano è un vinto che si brilla con uno splendore carnivoro. E’ bellissimo. E’ carnale. E’ mistero doloroso e gaudioso insieme.
Milena Jesenska, nell’immaginario collettivo, è la Milena delle lettere di Kafka: questo racconto restituisce Milena a Milena e a tutti.
E’ appassionata, erotica, straordinaria, bellissima, cinematografica. Milena è come la sua pioggia. E’ come Praga, è come la morfina.
Milena è fierezza e non dolore. E’ un ricamo sulla pelle che supera anche la morte. Milena è l’intelligenza femminile. E’ il rifiuto dell’ingiustizia. E’ il discernimento. E’ l’amore e il coraggio ed è il coraggio dell’amore.
Il Guy de Maupassant firmato Roberto Farina è la resa dei conti. Rende giustizia a Guy e, quasi, induce a perdonare la follia che invade l’anima e la rende indifesa. “Il mare… è leale”: ciò che da dimensione al mondo è la poesia. Quella di Farina è prosa poetica, irrefrenabile, sacra: Fuochi è il tabernacolo nel quale è custodito il santissimo sacramento della Filantropia.
Giuseppe Grandi: “La rivolta è femmina”; “Nunca des imperadur”: il Nan riempie di sbigottimento. Il leone, l’aquila, ma soprattutto l’ostinazione di chi l’Arte la rispetta e ne fa religione.
Jack London: invincibile amore per questo ritratto, per la libertà di un uomo che ha riscattato la crudeltà delle madri con la generosità.
Fedor Dostoevsckij: “Che cosa vi proponete di fare con la vostra opera, giovanotto?”
“Mettere in romanzo l’anima, signora Panaev.”
“Ma l’anima non esiste.”
“In tal caso la inventerò io”.
Insopportabilmente meraviglioso.
“Questo è vivere: essere uomini tra gli uomini e restarlo sempre, in nessuna sventura avvilirsi o perdersi d’animo, ora lo so una volta per tutte”: riecheggia l’Homo sum di Terenzio ed è, da sempre, questo il sogno dei santi e dei poeti. Il “mio” Fedor è e resterà sempre quello di “Le notti bianche”, il “mio”indimenticabile compagno di ventura di “Memorie del sottosuolo”. In questo racconto c’è forse il passaggio più bello di Fuochi: l’indimenticabile ultimo capoverso di pagina 192.
Luis Bunuel,  Hey, non l’ammazzi più?”: battuta sublime che rende tutto il senso del racconto. L’amarezza, una decina di grammi di nostalgia, diversi etti di sogni realizzati, di visioni divenute concretezza e nessun cenno mai alla ragione. La ragione è fredda, Bunuel è una lama di ferro arroventata.
Harry Miles: “Non tutto è perduto”.
Dashiell Hammettimparò subito a considerare la solitudine come una manifestazione dell’età adulta”; Dash dai “capelli stupendi”, come li definisce Lillian Hellman: ecco, ancora una volta, il cuore di donna e le mani di uomo di Roberto Farina.
Sante Pollastro e la sensualità irripetibile della giovinezza. E’ come se l’autore, qui, non avesse mai varcato la soglia che porta oltre l’adolescenza dei sudori, delle voglie, delle corse e degli spudoratissimi pudori. L’irruenza dei sensi di un uomo leggendario che nessuno mai saprebbe immaginare. Dopo la sparatoria, la fuga, e, dopo essere diventato una “spina nel fianco del governo fascista”, l’amore di Mariette, la desiderata: “La guardava in un modo strano, c’era desiderio, ma anche rabbia”.
Il finale è amaro: la mitezza, dopo la rivoluzione. La rivoluzione era un sogno. Solitario.
Giovanni Pesce: “La nostra libertà consiste nel decidere che cosa fare di quello che la vita ha fatto di noi”. Il proprio credo, la via da vivere pienamente. Le scelte. Radicali. La resistenza come seconda pelle. Il sacrificio vissuto come un sacerdozio. La libertà-reale- come unica religione possibile: ecco Visone nel ritratto della sua giovinezza gloriosa.
Blaise Cendrars: la verità che trabocca, la cenere in agguato. “La solitudine che aveva il sapore di una liberazione”. L’arte. E ancora la vita.
Antonia Pozzi: un capolavoro. Una bufera di giovinezza, uno scirocco impetuoso in piena primavera; niente che sia stato scritto su Antonia Pozzi (e tanta roba ho letto!) è equiparabile a tale ritratto. Non c’è alcuna “invasione”: Roberto Farina ha restituito alla vita ciò che della vita si era incrinato. Antonia allora diventa un ricamo di “letizia”, un virgulto di “vitalità”, un inno di gioia. Un abbraccio. Lei era e resta un bacio d’adolescenza mai vinta, una martire dello stato di grazia della giovinezza e davanti a ciò “ogni amarezza svanì”.
Paul Gaugin è l’urgenza di somigliare a se stessi. Di sentirsi al proprio posto. Oltre. Al di là. Di ogni ostacolo della morale. “Difendete la vostra libertà” e, ancora, “L’amore è una complicazione del piacere. Guardatevi dall’amore”. Il maestro Gaugin ha fatto scintillare Haiti della sua luce: “Gaugin è morto. Ora non c’è più nessuno qui”.
La banda Bonnot: il dialogo tra Renè e Dondon è meraviglioso. Il “duello” finale degno di fragorosissimi applausi. Renè e Octave nella fossa comune restano immortali.
Siamo scherzi di luce”: l’intensità vitale di Medardo Rosso trascina. Sembra di averlo davanti ai propri occhi mentre scherza con la luce di Maurice o spadella cantando da Carrà. E’ una straordinaria icona della follia della natura. E’ un godurioso approccio all’essere. Non v’è nulla di austero nell’arte. L’arte è l’anarchia della gioia. Le pagine su Medardo Rosso sono una musica.
Claudia Ruggerini sapeva bene quanto le sarebbe costato scegliere la libertà. La storia è entrata violentissimamente in casa sua e lei ha scelto d’essere giusta.
Amilcare Cipriani è un poeta: la famiglia sacrificata alla rivoluzione, l’eroismo, la paura. l’innamoramento? “Figlio mio, che cosa ne hai fatto della tua gioventù?”.
Onorina Brambilla: la comunista, la partigiana. La ragazza del Pane Bianco, amata da Visone, senza tregua. Nell’immaginario della lettrice è il paradigma di un verbo irregolare: non si scorda mai.
Giancarlo Bugetti è l’uomo del fuoco, l’inossidabile Giancarlino. La tempra del toscanaccio, l’altruista, il generoso, il consapevole: “L’uomo non sa gestire il fuoco, non c’è niente da fare”.
Chuck Wepner: “Ho capito che resistere è un mestiere come un altro. Si impara”. Con Chuckie la lettrice ha intrapreso una storia d’amore. Perché Chuckie le ha spiegato perché leggere è una forma di resistenza. E perché Chuckie ha trovato in Edith la sua motivazione a resistere. Edith si porta sulla pelle la morte e da continuamente respiro alla vita.
Così le passioni del cielo precipitano sulla terra”: Michael Collins, l’uomo rimasto solo come Dio. Un uomo. Fuochi si chiude con una bonus track dedicata a una ninfa marina: Dita Parlo, la paladina del no; la creatura-bellissima-del coraggio.

Fuochi è tutto questo. Ma è soprattutto ciò che lascia al lettore: è un’eredità. E’ un libro di storia, è un monumento al futuro. E’ un’opera d’arte. Farina è scrittore raffinato, sopraffino. E’ una penna miracolosa e rituale. E’ la rugiada sulla lingua riarsa. E’ la carezza della seta in un campo minato. Fuochi ha un odore buono: sa di muschio e di verbena e se ne sente un che di agrumato gioire come nota di coda. Ha una consistenza assai particolare: è un oggetto sacro. E’ come uno scrigno. Ma porta con sé, oltre alla sorpresa, anche il calore di uno scialle da indossare dinanzi al mare. E’ un libro coraggioso: è il più coraggioso dei libri di Farina, perché è un “libro rosso”.
Fuochi è un alambicco: distilla libertà e te la fa bere fino a lasciare che ti bruci. Fuochi è un libro rischiosissimo: se si ha il coraggio di lasciarsene infiammare, poi è come se il proprio respiro diventasse incenso per libagioni divine.
Le illustrazioni sono strabilianti.
Fuochi mi ha insegnato la lentezza della lettura: i libri di Farina si fagocitano, non prevedono pause. Fuochi invece va lasciato decantare. Va gustato. Come si gusta novembre.
Francesca Aurelio


sabato 10 agosto 2019

Altre letture estive


B. Schlink, Il lettore –Neri Pozza

Storia toccante. Alcune pagine sfiorano la poesia, tanto che ci si sente limitati nel dover leggere il romanzo in traduzione e nasce il desiderio di conoscere il tedesco. Nasce come una storia di amore proibito e inenarrabile tra il quindicenne Michael Berg e la più che trentenne Hanna Schmitz: una passione travolgente che è anche un’educazione sentimentale per entrambi. Michael fa i conti con la sua adolescenza, Hanna con le sue paure e un suo terribile segreto. I momenti più struggenti sono quelli in cui, dopo l’amore, Michael legge per Hanna. L’idillio si incrina però. Hanna sparisce. Michael continua i suoi studi: per un seminario della facoltà di legge dovrà seguire un processo a cinque ufficiali donne delle SS responsabili di una strage avvenuta subito dopo la fuga da Auschwitz, in una chiesa. Il finale è una strozzatura: l’imperdonabile Hanna è la prosopopea della disperazione, eppure Michael, in qualche modo, continuerà a leggere per lei sempre. Hanna, infine, imparerà a…
Da leggere e meditare. Lascia “Il lettore” innamorato e stordito.
C’è un errore che lascia l’amaro in bocca: a pagina 79 è tradotto “Da quanDo tempo abitava nell’appartamento”. Dio salvi la grammatica. 



R. Bespaloff, Sull’Iliade – Adelphi
Lettura piacevolissima, che si apre con dolorose pagine di raffronto tra Achille, “l’eroe della vendetta”, secondo la Bespaloff, ed Ettore, “l’eroe della resistenza”. “I destini di Achille e di Ettore sono accomunati nella lotta, nella morte e nell’immortalità”, sostiene la Bespaloff, per la quale “teatro dell’ineluttabile è simultaneamente il cuore dell’uomo e il Cosmo”.
Delicatissime le pagine su Teti e Achille, entrambi, in diverso modo, figli del mare. Achille allora è “come una pianta sul declivio di un vigneto”, che Teti non ha potuto rendere immortale. E allora egli è l’eroe più umano di tutti, perché, nel momento in cui Achille viene al mondo, la morte è dentro di lui, è la sua più terribile e più fedele compagna di viaggio e con lui, “umano, troppo umano”, non lo dimentichiamo mai, neanche per un attimo. Ha un solo folle amore, Achille, sia pur tra tanti amori: è Patroclo, colui che moltiplica all’infinito l’amore quanto la morte.
Le pagine della Bespaloff fanno di Achille soprattutto l’eroe dell’impeto: “Achille è il gioco della guerra, la gioia di saccheggiare città troppo ricche, la voluttà dell’ira […], il clamore dei trionfi inutili, delle imprese folli. Senza Achille, l’umanità vivrebbe in pace”. Non sono d’accordo. Achille è l’eroe umano, preda dell’ira, preda dell’amore, trionfo della morte. Ad Achille io perdono tutto, chè Achille ha pianto poesia e mi ha insegnato a vincere la disperazione con il canto.
Dinanzi all’immagine di Achille che si consola suonando la cetra gli si perdona tutta l’ira, perché Agamennone il capriccioso ha mandato a morire gli Achei e tra loro l’irresistibile Patroclo.
Quindi la riflessione su Elena, sugli dei, su Troia, sulla guerra: “La guerra è inseparabile dalla giovinezza dei corpi che seduce per poi annientare”.
“Il pasto di Priamo e Achille” è un capitolo strepitoso: Achille è l’Uccisore “carico di infanzia e di morte”, ma non dimentica mai, neanche per un attimo, Patroclo e, quando restituisce il corpo di Ettore e prende il riscatto, che Priamo gli offre, promette a Patroclo la sua parte, scusandosi per l’ira placata.
L’ultima parte è dedicato al rapporto tra la Bibbia e l’Iliade, accomunate da “un certo modo di dire la verità, di proclamare la giustizia, di cercare Dio, di onorare l’uomo”. Lettura meritevole di attenzione e partecipazione. Scrittura magnifica.


M. Atwood, Il canto di Penelope – Ponte alle Grazie
Scorrevole e semplice. Prosa limpida e inappuntabile. Penelope resta Penelope, ma dei suoi sentimenti, a volte, ci si dimentica: Il canto di Penelope è un memento di ciò che lei ha sentito e vissuto, patito e tessuto, mai all’ombra dell’eroe, ma con lui e soprattutto senza di lui, autonomamente.
Penelope è figlia di Icario, re di Sparta, fratello di Tindaro, che era-neanche a dirlo- il marito di Leda, dal cui grembo nacquero i Dioscuri, Clitemnestra ed Elena.
Penelope ed Elena, le cugine spartane, colei che aspetta e colei che fugge. Penelope, che tutti, da bambina, chiamavano “Anatroccola”, ed Elena, la luce della bellezza divina, in realtà, non tindaride, ma figlia di Zeus, che, in forma di cigno, aveva fecondato Leda.
Amore e delusione si impastano nella natura del rapporto di Penelope col figlio Telemaco; amore e attesa in quello con Odisseo.
Inadeguatezza nei confronti della nutrice, la vecchia Euriclea, che aveva allattato ai suoi capezzoli Odisseo; opposizione da parte della suocera Anticlea: perché Penelope arriva ad Itaca bambina e da bambina sempre sarà trattata.
Gli intermezzi corali-il coro è formato dalle ancelle di Penelope- sono gustosissimi, ironici, a volte esilaranti:
Ma al mattino ci svegliamo,
pronte ognuna al suo dovere;
e le gonne solleviamo
per quei cazzi di imbroglioni.
Penelope ora è nell’Ade e può ripercorrere la sua vita senza remore né rimorsi: è umana e, come l’acqua, ovunque penetra.



      A.    Camilleri, Ora dimmi di te. Lettera a Matilda –Bompiani.
Si tratta di una lettera che il bisnonno Andrea scrive a Matilda, che non ha compiuto ancora quattro anni. Andrea scrive “a pochi giorni dal (suo) novantaduesimo compleanno” e spera che Matilda possa leggere questa magnifica storia della sua famiglia, dell’Italia, del sogno europeo “nel pieno della (sua) giovinezza”.
Camilleri ripercorre la sua vita, racconta i suoi sogni, la sua ostinazione, il suo adolescente fervore politico, i suoi insuccessi, ciò che è stato mera fortuna, ciò che è stato conquistato con sacrificio. Ha parole d’amore pieno, forte, maturo, totale per Rosetta e per la scrittura, che era gioco e sfogo, divertissement e dono e poi è diventata più di cento romanzi.
Magnifico l’addio, lento, dolcissimo, al padre.
Non riesco a dire di più: il rischio è di sciuparne la bellezza.
Va letto. E custodito dentro.
Magnifico. Sublime. Semplice. Complesso.
La lezione di un Maestro.
Il testamento di un Padre.
La fierezza di un Comunista.
Per me, che sono solo un’insegnante, sarà, questa lettera, anche uno strumento didattico importantissimo per la visione del Novecento che in essa abita.



R. Vecchioni, La vita che si ama. Storie di felicità – Einaudi.
Il Professore non si smentisce mai. Ogni sua parola è sensualità, come quando l’onda lascia la sua saliva sopra i fogli e poi, dopo diverse stagioni, ne senti il profumo e ne cogli i segni lasciati lì… dal mare.
“La vita che si ama” è un romanzo, è un’autobiografia, è poesia, è una serie di ritratti indimenticabili.
“La vita che si ama” è la conquista del tempo che non esiste, è la canzone del kairòs. E’ l’amore e il suo senso: “una primavera di passi e sorrisi ignara di trascinare i sensi e il cuore”. E’ il rifugio, il ritorno. La partenza. E’ la scuola.
E’ la Casa. La goffaggine. E’ i figli. Gli incontri. E’ la vita di un uomo e delle sue letterature.
E’ il gusto di un infinito interiore. Della storia lontana.
Dei padri che giocano d’azzardo con il cuore e delle madri che non se ne vanno mai.
Vecchioni è un affabulatore impareggiabile. Un grande attore. Un profondo enigmatico sciamano. Un ruffiano. E’ quello che mi fa pensare “Vorrei parlare come lui” e poi mi accorgo che la mia Saffo è la sua stessa bellissima sacerdotessa.
E questo la dice tutta. Proprio tutta.
Consiglio questo libro a chi sa resistere. A chi poeticamente vive…



                                                                                                                              Francesca Aurelio

mercoledì 17 luglio 2019

Leggere è amare

L'idea di questo blog è nata una sera a Milano, in cui un mio amato amico mi istigò a parlare di mitologia, dopo che spendemmo una bellissima passeggiata da casa di Riccardo al ristorante, durante la quale gli raccontai di Medea, Didone e Circe. Piero è sempre convincente. Così... iniziai. Un blog però richiede costanza... e io non sono costante. Richiede ordine... e io non sono ordinata. Perciò, di tanto in tanto, tra una password persa e un'altra ritrovata, le recensioni che, generalmente, scrivo sotto la copertina dei miei libri, la riporto qui... quando mi va, quando sento che qualche consiglio di lettura non guasti, quando spero che qualcuno si innamori di libri che per me sono indimenticabili. Oggi è morto Andrea Camilleri, non è certo una buona occasione per dire che uno degli ultimi suoi libri che ho letto è Conversazione su Tiresia, edito da Sellerio. Un piccolo gioiello scritto e interpretato dall'autore al Teatro Greco di Siracusa lo scorso anno. Una citazione vale come testamento perenne: "E così mi ritrovai cieco, indovino e in grado di vivere un tempo praticamente infinito". Lo vivrà questo tempo infinito Camilleri, perchè ogni suo scritto, ogni sua parola, merita di appartenere all'eternità.


Questo mese di luglio 2019 è per me veramente vacanza, nel senso più antico del termine: riposo, otium, "scholè", come direbbe Socrate e mai come quest'anno sento che la vacanza vacante è meritata. Ovviamente non potevo che affidarmi totalmente e completamente alla lettura: ovunque, tra letto e spiaggia, divano e panchina all'ombra delle fresche frasche e dunque ecco le mie letture di luglio:
Matteo Nucci, L’abisso di Eros-Seduzione (Ponte alle Grazie)
Un saggio, un romanzo, duecentocinquanta pagine di ricca, ricchissima goduria. La penna di Nucci è strabiliante: leggere questo SCRITTORE è come essere avvolti da ambrosia.  L’abisso di Eros è un viaggio attraverso la seduzione, gli aphrodisia, l’eros e l’Eros: da Omero ad Esiodo, a Socrate e Platone; da Pericle, ad Aspasia, ad Alcibiade. Da Saffo ad Anacreonte. Ma soprattutto da Elena a Menelao, a Paride; da Achille e Patroclo, ad Ares e Afrodite; dalla vergogna al canto, dalla natura alla dismisura, dal Vortice a Pan. Dall’amore, alla disperazione, alla bellezza. La BELLEZZA della quale nutrirsi. Sempre. Accedendo al suo regno conturbante, che porta ad altezze sublimi: la Grecità, in ogni sua forma, verbo, luminosità.


Matteo Nucci, Le lacrime degli eroi.
Uno dei libri più belli letti negli ultimi dieci anni. Un inno alla fragilità, che non è debolezza, ma vis creaturale; un ritorno alla radice, un riconoscersi veri, di carne, sangue e lacrime: chè poi le lacrime sono della stessa sostanza della vita. AION: parola d’ordine, password per tutto ciò che di prodigioso abita l’uomo. E l’uomo è albergo e alcova, ricettacolo e altare del dio dentro, della brama, dell’ira, dell’arrendevolezza. Tra tutti spicca lui, Achille, il figlio del mare. E ancora una volta si resta innamorati. Della materia, della trama delle parole, di Nucci stesso, grande sacerdote che profetizza arcane voglie e inenarrabili desideri.


Madeline Miller, Circe.
Circe, la figlia del Sole; Circe, la ribelle; Circe, la strana. Circe, la dea.
Non è bellissima, come le altre dee, una più straordinaria dell’altra. La sorella Pasifae la maltratta, i capelli cisposi di Circe fanno innervosire la dea Bianca, che non le risparmia insulti e risate sarcastiche e pungenti; i modi selvatici di Circe fanno ridere anche il fratello Perse, che invece ama profondamente e segretamente Pasifae. Tra i titani giunge voce che Prometeo è stato punito da Zeus, che si è autoaccusato, che non ha voluto, pur avendo potuto, nascondere di aver consegnato il fuoco agli uomini. Circe è attratta dal titano e si avvicina a lui, ne vede il sangue sacro sparso sul pavimento dorato, ne sente il dolore, lo osserva, curiosa, e non rivela a nessuno, se non al fratello Eeta di aver sentito il bisogno di portargli conforto.
Circe, la selvatica; Circe, la domatrice; Circe, la folle. Circe, la maga. I suoi intrugli, i suoi misteri, le sue trasformazioni, i suoi amori: Glauco, il pescatore, trasformato in un essere immortale; Glauco, l’immortale traditore, che a Circe, ben presto, preferisce Scilla. E Scilla non ama, Scilla ama piacere, ama essere lusingata: Scilla fa perdere la testa a Glauco e Circe impazzisce di gelosia. Con la linfa dei fiori germogliati dal sangue di Crono e che hanno il potere di trasformare chiunque in chi è davvero, Circe trasforma Scilla in un terribile mostro. Questa metamorfosi le costerà l’esilio nell’isola di Eea. La sua compagna fedele è una leonessa, i visitatori li trasforma in porci; si arrampica a piedi nudi sulle alture di Eea, scopre le proprietà delle piante, doma gli animali più feroci. L’esilio è per l’eternità, ma giunge Hermes e Circe deve correre a Creta, dove la sorella Pasifae, sposa del re Minosse, sta per partorire. A Creta vive anche Dedalo, dal quale la dea resta affascinata. Pasifae ha bisogno degli incantesimi di Circe, perché sta dando alla luce un mostro, il Minotauro.
A Creta è anche la giovane Arianna.
Finchè giunge sulle rive dell’isola una nave: è quella di Odisseo.
L’eroe le lascerà in grembo Telegono, “colui che è nato lontano”, ma ripartirà alla volta di Itaca. La gravidanza della dea Circe è una lotta, la nascita del bambino una guerra.
Un finale strepitoso. La Miller di La canzone di Achille non si tradisce in Circe. Romanzo spettacolare. Cinematografico. Piacevolissimo. Viene voglia di essere vento per passare attraverso i capelli scarmigliati di Circe e sentire il profumo di sangue e magia che ella emana, per farsene sedurre, per lasciarsene incantare.



Marco Missiroli, Fedeltà.
Una magnifica sorpresa, un bel romanzo. Letto in un pomeriggio. Una storia di anime che si mettono alla prova. Amori concreti, amori nati, amori abortiti. Tenerezze; fiducia. Resistenza. Uno spaccato di esistenza, in una Milano che si fa poesia. Un uomo a metà, una donna di profonde solitudini, sia pur ballerine. Un ragazzo bellissimo e cupo, una ragazza che strega Carlo di una stregoneria sensuale e tenera insieme. Avevo letto di Missiroli Atti osceni in luogo privato, ma Fedeltà mi ha stupita. Ottima penna. Moderna. Meno male che non ha vinto lo Strega: così questo romanzo si farà da sé, chè si farà.


Valeria Perrella, Almarina.

Un successo forse per molti. Io non ne sono uscita entusiasta. Un romanzo breve. Storia intensa. Scrittura che ho apprezzato in alcune parti, in altre ho trovato luoghi stucchevoli e affatto necessari. E’ come se il romanzo mi si fosse rivelato diviso in due parti: la prima parte più lenta, la seconda interessante, indaga l’anima della Professoressa Maiorano che si specchia in Almarina e, inadeguatezza e timore nonostante, diventano insieme bellissime. La cesura è a pag.60, più o meno. Punteggiatura per me incoerente.


Cristina Dell’Acqua, Una SPA per l’anima.
Raramente mi è capitato di non terminare una lettura. In questo caso, proprio non ci sono riuscita. Scontato, noioso, di maniera. 17 euro spesi malissimo. Assolutamente illeggibile per me. Si presenta fin da subito lentissimo. A pagina 47, dopo il terzo capitolo, il cui titolo è oltremodo attraente “La formula della giovinezza di Sofocle. Emone o la saggezza di un figlio”, ho sentito dentro una specie di strana repulsione e ho mollato. Magari lo riprenderò in un momento in cui soffrirò meno il caldo. Chissà.