G. R. Hocke, Magna Grecia. Escursioni letterarie attraverso
il Meridione greco d’Italia.
(fbe edizioni; ed.originale 1960; ed.italiana 2010)
Un romanzo, che è anche un trattatello di storia e un diario di viaggio; la
prosa è scorrevole e lirica al tempo stesso: ad ogni periodo, ad ogni
capoverso, si sente la Magna Grecia che abbiamo nel sangue ribollire,
volteggiare, danzare e gioire dentro, per chiudersi poi in una nostalgia di
bellezza, in quel crepuscolo di magnificenza, destinato a divenire sempre di
più, ahinoi, una notte cupa.
Il protagonista è Manfred, l’alter ego dell’autore,
antinazista della primissima ora, che attraversa Puglia, Lucania e Calabria in
un tripudio di stupore e in un carnevale di incontri che restano scolpiti nella
memoria, come se il lettore stesso fosse lì ad ascoltare il Conte C., mentre
parla di Sybaris, di quella “lussureggiante vegetazione”, in cui “il paesaggio
richiamava alla memoria più l’immagine di una foresta che quella di campi
coltivati”; o ancora Pietro, che accompagna Manfred a Crotone di “avorio e
azzurro”, ove i due mangiano “pane e nespole”.
Il brano più struggente? quello affidato alle parole del
Conte C., che prima del commiato, stappa, nella sua villa, che domina dall’alto la Sybaris ritrovata, una “bottiglia di vino polverosa e priva di etichetta” e
dice: “Bisogna berlo accompagnandolo con torta di pistacchi e insalata fresca,
condita con rosmarino. Questo vino, che vi raccomando di cuore, si chiama Greco
di Gerace: il principe di tutti i vini di Calabria […]. Il Greco è un fuoco silente,
che mette allegria e stimola lo spirito. Ha la magia di predisporti l’anima
alla musica, spingendoti alla danza. E’ come se nella sua essenza fossero
diluite le melodie di Orfeo e ne prendessero il colore. Quando la fonte
dispensa frescura all’ombra della nostra pergola, esso brilla come se fosse
dotato di vita propria”.
L’ultima escursione, prima del ritorno di Manfred in Germania, è a Paestum: “Sul
tempio di Poseidone l’oro si fondeva con il rosso vivo dei germogli di
melograno in una tonalità solo leggermente più scura del sole quando, in una
giornata di pioggia, esso bacia il mare poco prima di accomiatarsi”.
Una lettura bellissima. Traduzione dal tedesco meravigliosa. C'è Pitagora, Cristo, le madonne, le vergini e le giovani sensuali e peccatrici di Calabria.
C’è una pecca: refusi a dire basta, che urtano il sistema
nervoso e scatenano l’ira funesta (nella mia copia ho provveduto alla
correzione: la lascio in prestito volentieri, qualora qualcuno volesse
leggerlo). Il prezzo di copertina è 16 euro e li vale tutti, centesimo per centesimo: lo dico perchè qualcuno proprio stamattina mi ha fatto notare che i libri costano un patrimonio, ma appena si capisce che sono un bisogno primario, be', basta comprare una maglietta in meno, in fondo.
Colm Tóibín, La casa dei nomi
(Einaudi, 2018)
“Ho dimestichezza con l’odore della morte. L’odore
nauseabondo e zuccherino che si diffondeva nel vento raggiungendo le stanze di
questo palazzo”: è Clitemnestra che parla; la Clitemnestra che nega l’esistenza
degli dei e che ha a che fare solo con la ferocia e con i suoi innumerevoli volti: lei li conosce tutti, ad uno ad uno. La casa dei nomi è una rilettura
dell’Orestea, con varianti moderne e violente. Tóibín fa di ogni personaggio un
monumento di scelleratezza e dolore: Clitemnestra parla in prima persona ed è
ferita, la sua sorte è un cane che latra nei silenzi delle notti a palazzo; ha sentito morire Ifigenia sull'ara di Artemide, rinchiusa in una tomba da viva, dove gli achei la
hanno murata, con una benda sulla bocca, per non farle pronunciare maledizioni. Oreste è stato rapito:
Egisto ha voluto così, con la complicità della madre, che non smette mai di
essere madre: ma di figli perduti. Perché Ifigenia è simbolo incontrovertibile
dell’obbligo della regalità; Oreste è la vera vittima sacrificale; Elettra è la
macchinatrice, il tabernacolo dell’odio.
Ifigenia resterà vergine per sempre; Oreste è la solitudine;
Elettra è implacabile. Di Clitemnestra cosa rimane dunque? Un’ombra che ricorda
l’amore, ma non i nomi di chi ha amato.
Nella Casa dei nomi, infine, qualcuno sta nascendo; ma non è
ancora nato. E resta sospeso tra utero e dolore. Per sempre. Si dice che sia femmina, ma non se ne ha la certezza.
La prosa di Tóibín si conferma ipnotica, serrata. Non ti
lascia in pace, mai. E poi ti lascia intravedere un bagliore, che resta
domanda.
Assolve, in qualche modo, Clitemnestra. E il lettore, con
lui, stavolta non perdona Elettra; proprio non la perdona.
Sylvian Tesson, Un’estate con Omero.
(Rizzoli, 2018)
“Mi sono immerso nell’Iliade e nell’Odissea come nelle acque
impetuose di una cascata. Ho respirato per mesi al ritmo dei versi omerici,
nelle mie orecchie ne risuonava la musica, battaglie e navi in procinto di levare
le ancore affollavano i miei sogni”: come affollano i sogni di chiunque ami il
greco antico, puro e sublime, di Omero. Tesson ha vissuto in una piccionaia a
Tinos, nell’Egeo e lì ha riletto per noi Omero: un saggio scorrevole ed
elegante; a volte di una semplicità disarmante, quasi incredibile.
Si torna fanciulli a leggere questo Tesson: per un paio di
questi miei giorni d’estate sono tornata bambina, con mio padre seduto nella
piazzola davanti casa a leggere Bufalino e io, vestita di giallo, con la mia Odissea illustrata tra le mani.
Giuseppe Catozzella, E tu splendi.
(Feltrinelli, 2018)
Il Sud, la genuinità; la perdita; l’amaro sentirsi depositari di un’ingiustizia
atavica; la rabbia nei confronti di Dio; la fanciullezza; Pasolini, Carlo Levi,
un’eco di comune appartenenza e un piccolo eroe, Pietro.
La cattiveria, della sorte e degli uomini; l’istinto di vita; la violenza, l’amicizia,
il perdono, l’emigrazione, gli immigrati.
E’ un concentrato di Sud questo romanzo di un giovanissimo Catozzella: una
favola, di quelle che non hanno lieto fine, di quelle che però fanno vedere che
tutto ciò di cui abbiamo bisogno è di essere umani. Le differenze si annullano
e la diversità splende-sì, splende- solo quando l’appartenenza alla comune
radice di creature umane ci tiene stretti, come grani di un rosario, nelle mani
di una nonna.
I personaggi di Catozzella innamorano: Pietro e Nina,
Nononna e Nononno; Zi Salvatò; Josh, Refè.
Da leggere. Per riconoscersi. Per ritrovarsi. Per guardare i nostri calanchi
interiori e meravigliarsi.
Due lacrime mi ha rubato questo romanzo, che sono perle:
“Così, io in quinta elementare e Nina in terza, ci siamo ritrovati orfani, che
vuol dire che tua mamma invece di abitare fuori inizia ad abitarti dentro”; “La
paura è una bugia”.
Per lettori grandi e piccoli.
***
Auguro a me stessa di innamorare tutti i miei
alunni della lettura: quest’anno che viene, magari, porteremo con noi uno
scampolo d’estate, leggendo tutti assieme di Pietro, Nina, Donatino e di
Arigliana, che poi è Albidona, Trebisacce, ma è pure Milanox, come dicono i
bambini del romanzo; è pane e pomodoro, vino buono; noci e zafferano; amore,
indifferenza, luna e fuochi.