Mentre febbraio si appresta già a passare dalle
variopinte danze carnascialesche alla contrizione quaresimale e il clima sembra
piuttosto “marzeggiare”, passando da giornate di flessuosa primavera a venti
furiosi e pioggia greve, tiro le somme delle mie letture del primo mese dell’anno.
Con una mia amichetta di nove anni, Sofia, assai spesso amiamo raccontarci i
libri che andiamo leggendo: ieri ci siamo accorte che non lo facevamo da un po’
e così ho fatto mente locale sulle mie letture di gennaio e, tra una spulciata
e l’altra alla “solita” poesia serale, che è l’addio al giorno che passa e la
captatio benevolentiae che rivolgo agli dei per la notte che viene (del resto,
una sera all’Hotel Roma a Siracusa, Piera mi esortò a non addormentarmi mai
senza prima aver letto una poesia: da allora, anche se non riesco a dormire,
due versi, pure tre, me li concedo sempre), questo è stato il mese dei “libri
rossi”.
Il mio incidentato 2018 l’ho aperto con Annie
Ernaux, Memoria di ragazza: è il racconto dell’estate del 1958 di A, è l’estate
delle scoperte, l’estate in cui la ragazza di paese, di una famiglia modesta,
va a lavorare in una colonia estiva e lì incontra (accoglie) e si scontra con
la realtà. L’adolescenza finisce, ma non si trasforma in età adulta. A si trova
in una sospensione che è tanto struggente quanto dolorosa e che diventa il
perno di tanta vita vissuta in un certo modo proprio perché A ha bevuto tutto
intero il calice di quell’estate del ’58. “Ci sono esseri che sono sommersi dalla
realtà degli altri, dal loro modo di parlare, accavallare le gambe, accendere
una sigaretta. Invischiati nella presenza degli altri. Un giorno, o piuttosto
una notte, sono trascinati nel desiderio e nella volontà di un unico Altro. Ciò
che credevano di essere scompare. Si dissolvono, e guardano il proprio riflesso
agire, obbedire, trascinati nel corso sconosciuto delle cose. Sono sempre in
ritardo sull’Altro, sulla sua volontà costantemente avanti di una mossa. Una
volontà che non raggiungono mai”: il libro inizia così e questa corsa a
perdifiato per raggiungere l’irraggiungibile affanna per tutto il racconto e
diventa una misterioso affanno verso la fine di un’epoca per A, che è l’epoca
di ogni donna. E’ un libro per femmine, che ogni maschio dovrebbe leggere: è un
romanzo su ciò che lascia chi va via con quella superficialità che è una botta
in pieno viso e un rasoio che graffia l’anima; è un romanzo pieno di quella
verità dalla quale non si guarisce quasi mai. E’ gonfio di timidezze e di “una
femminilità ostentata e intoccabile” che è cresciuta a pane e Secondo sesso di
Simone de Beauvoir : è colmo di quella necessità di ricostruirsi e di
rigenerarsi che solo chi sanguina, come la luna, ha il coraggio di portare a
compimento. Scrittura limpida, a tratti feroce, lirica a volte. A mi ha fatto
tenerezza e mi ha fatta arrabbiare. Poi non volevo lasciarla. Quando è così,
vuol dire che il libro merita d’essere letto.
Il 25 gennaio è uscito per Feltrinelli La Splendente
di Cesare Sinatti: l’autore è giovanissimo e scrive luminosamente. E’ un
romanzo sugli eroi di Omero, sulle figlie di Tindaro, sulla prole di Atreo. E’
un film, in realtà. L’ho trovato magnifico. Profondo conoscitore di Omero e
della tragedia, fantastico narratore. Ho iniziato a leggere questo libro con
qualche pregiudizio: mi aspettavo pagine un po’ noiose su argomenti triti e
ritriti per chi, come me, considera la letteratura greca la summa di tutto ciò
che è santo e bello e pieno di grazia; invece, è stato magnifico ricredermi. E’
una narrazione gustosa, leggera, profondissima; è indagine dentro; è scoperta;
è curiosità. E’ persino sfida: “Vediamo come l’ha raccontata questa!”, andavo
dicendomi.
“Coloro in cui la fiamma della vita ardeva con più forza si consumavano per
primi”: come non caderci dentro? e, allora, di Agamennone hai persino pietà;
Menelao ti intenerisce il cuore; Tersite lo prenderesti a sberle pure tu;
Patroclo resterà sempre il tuo più bell’amore; ti assolvi di amare tanto i
latrati di Clitemnestra e non provi più quel pizzico di invidia per quella
bellezza maledetta di Elena, che tanto ha fatto patire. Achille, be’, Achille
resta sempre lì, ha quel posto nel tuo cuore che occupa da sempre: Achille è la
tua fragilità, la tua paura; Achille canta sempre e tutte le note del suo cuore
resteranno per l’eternità tra il carapace della sua magnifica lira e il blu del
cielo di Grecia che ti percuote l’anima e, pure, l’accarezza. Sinatti scrive: “I
Greci sono eterni bambini”: sì. Lo sono. Perché in loro troveremo sempre quella
δεινότης irresistibile che tiene in bilico tra ciò che è tremendo e
la meraviglia.
L’epilogo di Sinatti è il vento di un pomeriggio d’estate che gonfia una tenda
d’organza, mentre nella penombra di una stanza rovente si consuma una
sensualità liquida…e profumata.
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